17.2.14

CHUQUICAMATA







DUE PAROLE:
SE ANDATE DA QUELLE PARTI LA SENTIRETE CHIAMARE SEMPLICEMENTE CHUQUI. 






Le strade sono vuote.
Non c’è nessuno in giro.
L’asfalto si stende a perdita d’occhio.
La pressione dei miei piedi.
Nient’altro lo disturba.
Sembra dopo l’apocalisse. Un’apocalisse chimica e veloce, senza che il genere umano abbia avuto modo di mostrare il peggio di sé.
L’apocalisse dopo la guerra porta distruzione.
Nessuna bomba è stata lanciata su questa città.
Nessuna rivolta. Nessun panico di massa.
Sembra proprio che siano spariti tutti nel nulla. Vaporizzati.
Ecco la ferrovia, vuota.
Indiano, poggia l’orecchio sui binari.
Nessuna vibrazione.
Gli alieni coi loro raggi mortali non sono ancora atterrati su questo pianeta.
Non ci sono treni in fiamme in arrivo.
L’asfalto è lì.
Gli edifici anche.
Non ci sono i graffiti, non più del solito.
Non ci sono le bande che razziano la città.
Non c’è quel senso di angoscia, di necessità di capire cosa è successo.
E’ tutto sereno e calmo.
Penso ad Andromeda.
Alle prime pagine. Il Black Hawk sorvola il paese nel mezzo del deserto e davanti al pilota si staglia la figura di un vecchio, in piedi in mezzo alla strada.
Non c’è neanche lui.
Neanche un gatto, un cane randagio.
Neanche un gruppo di ragazzi perduti attratti dal vuoto.
L’apocalisse dopo l’avvento dei non morti porta altrettanta distruzione.
Non devo guardarmi le spalle da niente e da nessuno.
I mostri. Gli infetti. Le minacce ignote.
La missione: ripulire il sito dagli intrusi.
Niente.
E’ solo tutto così vuoto e silenzioso.
Quando ero ragazzino amavo camminare la notte.
Amo ancora farlo, ma capita così raramente.
Il bosco affascina e spaventa in modo mistico. La città affascina e spaventa per le storie che racconta.
Cercavo le luci accese, ai piani alti.
Chi sarà sveglio a quest’ora? Sarà da solo o con una donna?
Quella luce era accesa anche l’altra notte.
Starà sognando ad occhi aperti. Al sicuro, a casa sua.
E se si dovesse affacciare, proprio adesso?
Vedrebbe me, col mio giubbotto e il mio cappuccio, col vapore del mio respiro che condensa mescolandosi con l’aria fresca.
Quante storie, o forse sempre la stessa, con tutte le sue microscopiche varianti.
Non ci sono luci accese adesso, neanche ai piani alti.
E’ tutto completamente vuoto e ordinato.
Le radiazioni. Hanno portato tutti via, resto solo io.
No, non questa volta.
Non c’è stata la fusione del nocciolo.
Nessuna perdita di acqua pesante.
Eppure, tutto è vuoto adesso.
Le persone che stavano qui, adesso sono da qualche altra parte.
Quattro ore fa sembrava di essere a Kabul.
L’asfalto è tutto coperto di petardi, forse ce n’è pure qualcuno inesploso.
Hanno sparato razzi per tutta la notte.
No. Non questa volta.
L’asfalto è pulito. Non più sporco del solito.
E’ la solita città, senza la gente.
Non c’è la finale dei mondiali.
Non c’è il superbowl e neanche Miss Italia.
Non c’è nessun operatore di macchina, nessun regista.
Non ci sono i giocatori, i tifosi, è tutto vuoto.
Pinocchio invece c’è
Solo Pinocchio.
Una grossa statua/scivolo di Pinocchio a braccia aperte.
Senza i bambini che scivolano giù attraverso la sua bocca.
Quelli sono spariti insieme a tutti gli altri.
Non c’è molto altro da dire, su questa faccenda.
E’ quello stato di vuoto, senza nessun colpo di scena, che ti attanaglia.
La miniera di rame più grande del mondo è in Cile.
Chuquicamata.
La chiamano Chuqui.
Si atterra a Calama, una pista vuota in mezzo al deserto, si prende un autobus e in qualche decina di minuti si arriva alla miniera.
E’ davvero impressionante. I minatori adesso vivono a Calama.
Ma si tratta di una decisione di qualche anno fa, quando è cambiata la legge e per tutelare la salute dei lavoratori un’intera città è stata trasferita in blocco.
Cioè, i lavoratori sono stati trasferiti in blocco, la città è rimasta li.
Incredibilmente ha subito pochissimi saccheggi. 
Almeno, lungo il percorso del bus turistico che porta a visitare la miniera tutto sembra ancora intatto. Questo è quello che ne è venuto fuori.